Articolo di Agatha Rodríguez Bustamante
Pochi giorni fa stavo finendo un articolo che trattava il riconoscimento dei passaporti Nansen, ossia passaporti per apolidi e rifugiati, nelle leggi sull’immigrazione dell’Ecuador. Ho svolto questo lavoro rivedendo dozzine di comunicazioni dei consoli ecuadoriani in Italia, Belgio e Germania, e scriverò nello specifico su questo argomento in un articolo successivo. I passaporti Nansen venivano rilasciati principalmente ai rifugiati russi, ma potevano essere accessibili anche agli apolidi che desideravano avere un documento per potersi muovere in giro per l’Europa o viaggiare in altri continenti. Questo è stato il caso di molti ebrei europei dopo il 1930.
Questo mi ha ricordato il caso di José Morpurgo, vice console ad honorem a Trieste dell’Ecuador e della Bolivia, nonché di altre repubbliche sudamericane. Il fatto che uno straniero, in questo caso italiano, rappresentasse gli interessi commerciali e si occupasse di affari consolari in città dove non c’era console, in questo caso ecuadoriano, era molto diffuso negli anni prima della Seconda guerra mondiale.
Nel febbraio 1939 il console di Genova Luis A. Gándara riferì che era necessario sostituire il rappresentante dell’Ecuador a Trieste, raccomandando di conseguenza Mario Marconi. In una lettera al Ministro degli Esteri ecuadoriano, Gándara fece presente il pericolo che i consoli ad honorem rappresentavano nel caso in cui non fossero selezionati correttamente, ricordando proprio i problemi che egli stesso dovette affrontare con José Morpurgo “assassinato nella sua stessa casa, circa un mese fa (…) il Morpurgo esercitava, da qualche anno, la carica di viceconsole (…) con famigerato impegno per tornaconti personali”. Gándara notava che, trovandosi in un punto strategico, Morpurgo aveva tratto profitto economico, ma altra documentazione lo indicava come un “ebreo che rilasciava visti ai suoi connazionali” contro quanto disposto dalla legge ecuadoriana.

Le accuse iniziarono più o meno nel 1937. Queste furono completamente smentite dal viceconsole, ma i consoli ecuadoriani in Italia non credettero alla sua parola e chiesero di rivedere gli elenchi dei visti concessi a Trieste e se questi fossero stati consegnati dietro pagamento. Morpurgo smentì i fatti e affermò di aver seguito la legge ecuadoriana, che comunque non negava l’ingresso di ebrei nel paese, almeno non esplicitamente, ma raccomandava di accettare gli immigrati tedeschi che si trovavano in Austria e che erano sicuramente di origine ebraica. Purtroppo il caso creato ai danni di Morpurgo si risolse con la sua morte, che non è stata chiarita e che già all’epoca aveva suscitato diverse teorie, lasciando senza conclusione il caso della concessione dei visti.
Tuttavia, questa storia mi ha fatto sollevare diverse domande, tra cui le motivazioni dietro questa accusa e quale fosse la posizione dei consoli di carriera ecuadoriani di fronte all’ondata di richieste di visto da parte di persone di origine ebraica in Italia. Secondo questi funzionari, infatti, l’Italia divenne un punto di transito per gli ebrei tedeschi o dell’Europa orientale prima di fuggire in America Latina, prima dell’introduzione delle leggi razziali in Italia (1938).
Circa l’ingresso degli ebrei in Ecuador, il quadro giuridico per la loro immigrazione è stato applicato in modo ambiguo e irregolare, dipendendo in gran parte dai funzionari incaricati in Europa. I consoli lo consentivano o lo ostacolavano, e sebbene gli ordini in materia indicassero la “grande cura per selezionare i migliori immigrati”, le posizioni dei consoli potevano differire. Gándara scrisse, ad esempio, nel 1939 “Ho concesso pochi visti: facendo una severa selezione per quanto riguarda gli ebrei. Nonostante le immagini spesso disperate che vengono presentate in questo ufficio, molte volte ho dovuto mettere in primo piano i miei criteri di funzionario ai miei sentimenti di umanità“. E non è che Gándara non credesse necessario selezionare l’immigrazione, come chiarì in altre comunicazioni, ma nella sua visione prevaleva quella che si chiamava immigrazione utile, che non respingeva gli ebrei che si dimostravano adatti all’agricoltura, all’industria o alla scienza.

All’altro estremo c’era invece il console Rodrigo Jácome Moscoso, succeduto a Gándara, il cui parere si riassumeva molto bene nel 1938 quando affermava: «Mi permetto di dare l’allarme, affinché il governo studi e detti senza indugio le misure che ritiene efficaci per evitare i mali che l’immigrazione ebraica può portarci”. Jácome Moscoso si sarebbe distinto anni dopo per aver impedito l’immigrazione di ebrei e non proprio per obbedire agli ordini, ma per l’assoluto rifiuto che provava per gli ebrei.
Questo confronto ci fa percepire che c’erano ragioni amministrative e non di totale antisemitismo. Come si vede, la porta d’ingresso per l’Ecuador dall’Italia era rappresentata dai consoli a Genova, in quanto era un consolato in un porto d’imbarco gestito da un console di carriera ecuadoriano. Questo fatto divenne ancor più definitivo quando il governo ecuadoriano impose che i visti venissero rilasciati solo dal console del porto di partenza e che i consoli ad honorem non avessero più la possibilità di rilasciarli.
Agatha Rodríguez Bustamante è una storica ecuadoriana, laureata all’Università di Cuenca e all’Università Andina Simón Bolívar, campus dell’Ecuador. Attualmente sta svolgendo i suoi studi di dottorato presso l’Istituto di Studi Latinoamericani dell’Università Libera di Berlino. La sua ricerca di dottorato esplora le migrazioni europee tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo in Ecuador, concentrandosi sul quadro giuridico che le ha rese possibili e sul ruolo attivo dei consoli ecuadoriani all’estero. Ha scritto diversi articoli sulla presenza ebraica in Ecuador e sul ruolo dello Stato nell’assunzione di professori europei durante i conflitti in Europa nella prima metà del XX secolo.
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Fonte: L’articolo si basa su diversi documenti sui consolati in Italia che fanno parte della documentazione sui Consolati dell’Ecuador in Europa tra il 1935-1939, che si trovano nell’Archivio Storico “Alfredo Pareja Diezcanseco” del Ministero degli Affari Esteri.
Foto di Copertina: Archivio storico del giornale triestino “Il Piccolo”.
Foto nell’articolo: Passaporti approvati da José Morpurgo. Consolati dell’Ecuador in Europa, (I-J), 1936. Libro D.19.41.