Nel 1989, lo scrittore ecuadoriano Gustavo Garzón Guzmán fu arrestato e accusato di attività sovversive. Un anno dopo riacquistò la libertà dopo essere stato assolto dalla giustizia. Ha cercato di riprendere il suo lavoro e gli studi di dottorato in letteratura, ma all’alba del 10 novembre 1990, durante il governo dell’ex presidente Rodrigo Borja Cevallos, scomparve nuovamente e definitivamente. Nel documentario “Brutale come l’accensione di un fiammifero”, viene proposto un esercizio di memoria e una voce di denuncia, che trascende il caso particolare di Garzón, per diventare un riflesso dell’ansia nella quale vivono centinaia di famiglie e anche di un sistema giudiziario responsabile della non-risoluzione di questi casi.
Il lungometraggio di 120 minuti in formato documentario, diretto da Elizabeth Ledesma e prodotto dalla Regional Human Rights Advisory Foundation (Inredh) e Rec Films, descrive la vita dello scrittore attraverso una costruzione audiovisiva poetica, in bianco e nero. Si parla anche della repressione degli anni ’80 e ’90, delle sparizioni forzate in questo periodo e dell’oltraggiosa impunità di tutti i governi ecuadoriani dell’epoca.
Il caso è aperto da tre decenni
Gustavo Garzón Guzmán è scomparso a Quito il 10 novembre 1990. Gustavo era uno scrittore formatosi nel laboratorio letterario di Miguel Donoso Pareja, nonché membro del collettivo editoriale della rivista “Mosca Zumba” e collaboratore regolare di pubblicazioni all’interno e all’esterno del paese. La famiglia e gli amici lo descrivono come un uomo intelligente e solidale, preoccupato di generare un cambiamento di coscienza alla ricerca di una società più giusta e libera. Per un periodo lavorò anche nella Casa della Cultura ecuadoriana.
Sebbene si fosse laureato in Statistica presso l’Università Centrale, il suo mestiere essenziale era la scrittura. Garzón fu arrestato nell’agosto 1989, dopo essere stato accusato di presunto possesso illegale di armi e di far parte dei “Montoneras Patria Libre” (gruppo guerrigliero sovversivo). Nel Centro di detenzione provvisoria (CDP) e venne torturato dagli agenti di polizia per diversi giorni e poi trasferito nell’ex carcere García Moreno.
Fu rilasciato nel settembre 1990. Il presunto legame con i gruppi sovversivi, a quanto pare, fece sì che l’apparato statale repressivo dell’epoca lo tenesse nel mirino anche due mesi dopo la sua scarcerazione. Questo caso – come quello di molti altri – è rimasto impunito e intrappolato in un sistema giudiziario inefficace e lento.

Quando è scomparso, lo scrittore trentaduenne viveva a Quito, dove stava lavorando alla sua tesi di dottorato in Lettere presso la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador. La notte del 9 novembre 1990 uscì con un gruppo di amici in discoteca e la sua famiglia non lo vide mai più.
Il caso ha raggiunto la Corte Interamericana dei Diritti Umani (I/A Court HR) e nel gennaio 2021 lo Stato ecuadoriano ha ammesso la propria responsabilità nel caso. Per la sua famiglia, il documentario è l’ultima speranza affinché gli informati sui fatti si facciano avanti e dicano qualcosa su dove si trova la salma di Gustavo Garzón.
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Foto di Copertina: INREDH