Cultura

Manuel Muñoz Borrero, lo “Schindler” ecuadoriano

Se siete mai stati a Gerusalemme, è possibile che abbiate visitato il complesso di Yad Vashem, nel quale lo Stato di Israele rende omaggio ai Giusti tra le Nazioni, ossia i non ebrei che hanno rischiato la propria vita per salvare anche un solo ebreo durante la Shoah.

Ma sapevate che tra i 27.712 giusti al mondo ce ne è uno ecuadoriano? Ecco la sua storia.

Manuel Muñoz Borrero, nato a Cuenca il 4 febbraio 1891, figlio dell’allora ambasciatore dell’Ecuador a Bogotà Alberto Muñoz Vernaza, fu un avvocato e diplomatico di carriera. Dopo essersi laureato in giurisprudenza nel 1920, Muñoz diventa terzo segretario nella missione diplomatica ecuadoriana in Colombia. Anni più tardi, nel 1930, Muñoz fu nominato console nella missione diplomatica a Stoccolma, in Svezia, dove cambierà la vita di decine di ebrei.

Dal 1930 fino al 1935, Muñoz esercita il ruolo di console generale, e dal 1935 fino al 1941 svolge mansioni di console onorario. Nel corso della sua permanenza nella capitale svedese, il console diventò amico del rabbino Abraham Israel Jacobson, col quale inizia ad aiutare decine di ebrei. Mentre alcuni passaporti ecuadoriani, firmati da Muñoz, venivano consegnati a Jacobson per essere inviati a degli ebrei in Polonia, altri venivano rilasciati senza foto né nomi, soltanto con firme e sigilli, per poi essere inviati in Turchia, da dove gli ebrei cercavano di scappare dall’Europa. Siccome l’Ecuador non aveva una rappresentanza in Turchia, l’ambasciata del Cile ad Ankara si occupava di ricevere e distribuire i passaporti.

Targa che ricorda il console ecuadoriano a Gerusalemme © Michele Migliori

Verso la fine del 1941, uno di questi pacchi fu intercettato e scoperto dalle autorità ecuadoriane e Muñoz Borrero fu conseguentemente rimosso dall’incarico di console dall’allora presidente ecuadoriano Arroyo del Río. Tuttavia, Muñoz Borrero continuò a rilasciare i passaporti contro il volere del suo governo. Secondo varie indagini, tra le 200 e le 250 persone furono salvate grazie ai passaporti rilasciati dal console ecuadoriano, sebbene il numero esatto non sia certo. Le false accuse intorno alla sua opera furono tante, ma Muñoz continuò il suo lavoro. In quanto console onorario, Muñoz non riceveva nessun contributo economico dal governo, perciò in tante occasioni pagò lui stesso il prezzo dei passaporti.

Né Muñoz Borrero né il rabbino Jacobson dissero mai a nessuno ciò che fecero a Stoccolma. Dopo la fine della guerra, Muñoz decise di rimanere a Stoccolma, città vicina al suo cuore, fino al 1961, quando ritornò nella sua città natale per qualche tempo, per poi andare in Messico.

Il nome del console fu nominato per la prima volta durante una delle sessioni del processo contro Eichmann effettuato a Gerusalemme, quando una testimone polacca affermò di aver potuto scappare grazie ad un passaporto rilasciato dall’ambasciata ecuadoriana a Stoccolma.

Manuel Muñoz Borrero venne a mancare il 6 ottobre del 1976 in Messico, senza mai aver detto a nessuno ciò che aveva fatto per il popolo ebraico insieme al rabbino Jacobson.

Dopo varie indagini, soprattutto grazie al ricercatore Efrain Zadoff, che presentò la ricerca su Muñoz a Yad Vashem, nel 2011 Muñoz Borrero venne riconosciuto come “Giusto tra le nazioni” in una cerimonia ufficiale in Israele, durante la quale Enrique Muñoz Larrea, nipote del console, ricevette il riconoscimento postumo in memoria del nonno. Anni più tardi, nel 2018, il governo ecuadoriano restituì il titolo di console a Manuel Muñoz in una cerimonia a Quito svoltasi al Palazzo di Najas, sede del Ministero degli Esteri.

La storia di Manuel Muñoz venne raccontata dallo scrittore ecuadoriano Óscar Vela nel suo romanzo Ahora que cae la niebla, che dopo anni di indagini, le quali l’hanno portato persino a visitare a Stoccolma i luoghi nei quali visse e operò il console, ha avuto il merito di raccontare la sua storia al grande pubblico.

Manuel Muñoz Borrero se ne è andato sapendo di aver fatto la cosa giusta, senza mai aver avuto bisogno di riconoscimento alcuno. Dell’Ecuador e del ruolo dei suoi diplomatici durante la Seconda Guerra Mondiale non se ne parla molto ancora oggi, e proprio per questo storie come queste meritano di essere raccontate affinché perdurino nella memoria di tutti.


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© Riproduzione riservata

Foto di Copertina: La Segunda Guerra Mundial

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