Tra il 1933 e il 1945, mentre l’Europa era stravolta dai totalitarismi e la seguente guerra mondiale, l’Ecuador dette rifugio a circa 4000 persone di religione ebraica, che decisero di prendere le valigie e, tra mille difficoltà, andare dall’altra parte del globo, in cerca di pace e lavoro.
Anche dopo la guerra, molti ebrei arrivarono in Ecuador, perlopiù per ricongiungersi ai famigliari che già vi abitavano. Questo fu il caso dell’artista ceca, ma nata in Germania, Trude Sojka, testimone di uno degli orrori più orribili del ‘900: la Shoah.
Gertrude Trude Sojka era un artista ceca nata a Berlino in seno ad una famiglia ebraica. Il padre era ingegnere, e ad inizio Novecento collaborò al miglioramento della rete ferroviaria ecuadoriana, su commissione del celebre presidente Eloy Alfaro.
Nel 1938, Walter, fratello di Trude, si trasferì a Quito per insegnare chimica all’Universidad Central, e vista la situazione, decise di rimanervi con la famiglia, per evitare le discriminazioni, gli arresti, e le umiliazioni a cui erano costretti i cittadini ebrei nei territori occupati dal Terzo Reich.

Trude, assieme al marito Dezider Schwartz, decide invece di rimanere a casa sua, a Praga. Nel 1944, la coppia decide di nascondersi a Nitra, in Slovacchia, per evitare di essere deportati. Tuttavia, nello stesso anno vengono trovati e deportati dai nazisti in svariati campi di concentramento, tra cui Auschwitz.
Arrivati ai campi, Trude, che era incinta, venne separata dal marito Dezider. Fu l’ultima volta che lo vide. Trude riuscì a salvarsi dagli orrori della Shoah, ma la sua piccola, Gabriele Evelin, no. Morì a soli 25 giorni.
Una volta liberata, Trude iniziò a fare qualsiasi tipo di lavoro per potersi permettere un biglietto per andare in Ecuador dal fratello, che era riuscito a contattarla grazie alla Croce Rossa Internazionale.
“Quando arrivai a Guayaquil, mio fratello mi stava aspettando a braccia aperte, ma quando uscii dalla nave, corsi ad abbracciare un cesto di banane”, usava scherzare Trude.
Nel 1948, Trude si sposò in seconde nozze con un amico del fratello, Hans Steinitz, tedesco, anch’egli sopravvissuto alla Shoah.
Trude non parlò mai apertamente della propria esperienza nei campi di sterminio tedeschi, ma espresse tutti i suoi sentimenti tramite la sua arte. La Sojka utilizzava una tecnica originale ed all’epoca poco utilizzata, impiegando principalmente materiali riciclati e cemento, entrambi lavorati rigorosamente a mano.
Le sue influenze artistiche espressioniste del periodo berlinese, dove lavorò, vennero immensamente influenzate dalla cultura indigena ecuadoriana, dando vita ad uno stile ibrido unico nel suo genere.
Trude venne a mancare nel 2007 a 98 anni, ma il suo ricordo rimane vivo grazie all’instancabile lavoro della figlia Anita e della nipote Gabriela, che da dieci anni gestiscono la Casa Museo Trude Sojka a Quito.
La Casa Museo è di proprietà della famiglia, e aperto solo su appuntamento. Le due guide sono niente di meno che la figlia e la nipote di Trude. Se passate da Quito, mandate una mail a: casaculturaltrudesojka@gmail.com, e visitate uno dei musei meno conosciuti ma più importanti e unici dell’intero paese.
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Foto di Copertina: Pagina Facebook della Cada Museo Trude Sojka